A VITERBO INAUGURATA LA MOSTRA “OPERE SPIRITUS” DI ELISA MORUCCI – INTERVISTA
VITERBO – Ieri, 1 settembre, nella piccola Chiesa di Santa Maria della Salute è stata inaugurata l’eccezionale mostra scultorea “Opere Spiritus” (1 – 16 settembre 2018)di Elisa Morucci, promossa da Giuseppina Del Signore, presidente di ProgettArte3D, in collaborazione con Archeotuscia Onlus e con il patrocinio del Comune di Viterbo. Scultura di Elisa Morucci (foto MAG)A VITERBO INAUGURATA LA MOSTRA “OPERE SPIRITUS” DI ELISA MORUCCI – INTERVISTA di Maria Antonietta Germano 2 SETTEMBRE 2018 Elisa Morucci e Giuseppina del Signore di ProgettArte3D, Viterbo (foto MAG)di MARIA ANTONIETTA GERMANO – |
All’interno dell’edificio del Trecento, restaurato e riaperto nel 1934, si erge al centro dello spazio, un’opera emblematica che esprime nella contorsione del corpo, sofferenza, sacrificio e gioia nella rinascita. Una auto-rappresentazione dell’artista che vuole descrivere il duro percorso da affrontare per ritrovare la propria natura divina. La scultura, presentata per la prima volta a Viterbo, è uno dei primi lavori di Elisa Morucci ed ha per titolo “It’s long road to the top..”, (resina patinata a bronzo, 74x64x139), nome ispirato da un brano di hard rock australiano degli anni ’70 della band AC/DC. Del Signore, Mecarini e Morucci (foto MAG) |
Fanno da contorno all’opera Prima una selezione di altri piccoli e preziosi lavori in bronzo, pregni di simboli antichi ed archetipici, realizzati dall’artista nel 2017, summa di innumerevoli ispirazioni, stimoli visivi e iconografici. Tra i manufatti scultorei fa bella mostra di sé il pannello rievocativo di “Rosa”, l’opera inedita dedicata a Santa Rosa e donata quest’anno al Sodalizio dei Facchini ed esposta al loro Museo.
Per saperne di più, Tuscia Times ha rivolto qualche domanda all’artista filosofa. D – Da un corpo contorto di donna, dalla forza espressiva e dirompente, emerge una sofferenza interiore? R – Più che sofferenza userei il termine sacrificio, nel senso etimologico, “fare il sacro”. Ha vissuto nella materia e questa contorsione era l’unico modo per poter esprimere quello che è il sacrificio, nella materia. Dolori, sofferenze, tutto ciò che dobbiamo sopportare per tornare alla nostra fonte di vita. La statua inizialmente era stata pensata per restare a pelo d’acqua. Presto andrà nella meravigliosa vasca delle terme di Bagno Vignoni. Sarà come una rinascita, una performance tra i vapori dell’acqua termale. |
D- Contorsione di un corpo che si appoggia unicamente sulle dita dei piedi, la parte più fragile del corpo, e nel contempo spicca il volo?
R – Questa opera è stata fatta in un lungo tempo, l’ho realizzata a Carrara dove andavo durante i miei studi una o due volte la settimana. Ci ho messo più di un anno e mezzo per realizzarla. E’ stato un lavoro veramente difficile. E’ stata la mia prima opera in resina, materia interessante anche dal puto di vista degli equilibri. Dentro c’è un’anima in ferro. Ho dovuto studiare la statica di questa opera per dare a chi la vedeva un’idea di qualcosa di pesante ed insieme leggero, pronta per spiccare il volo. Spero di poterla fare presto in bronzo, se trovo i fondi.
D – E’ una donna, potrebbe anche essere un uomo?
R – Potrebbe. Infatti l’ho rappresentata senza capelli. Nei musicanti la testa della donna è quello dell’uomo. L’anima è anima nell’essere umano. Questo tipo di partizione è tutto molto relativo. E’ un’anima incarnata che percorre il suo percorso e poi riesce a ritrovare la fonte. Anche l’espressione era veramente importante. Il volto è un autoritratto ma per l’espressione grave, cogitabonda e pensierosa mi sono molto ispirata a Michelangelo, mio maestro assoluto. Un corpo che è passato attraverso a tutte le fasi della vita, non deve essere idealizzato, è un corpo come tanti, un’anima come tante.
D – Questa è l’opera a cui tiene di più?
R – Sì perché viviamo in un universo negli universi e dobbiamo essere in grado di conoscere le potenzialità della propria natura profonda. Le altre opere sono venute dopo e sono opere simboliche, sono opere che hanno fisionomie anche umane però sono già simboli, percorsi alchemici”.
Tra i tanti ospiti illustri anche Massimo Mecarini, presidente del Sodalizio dei Facchini, alcuni critici d’arte, la poetessa Lorena Paris e tutta la famiglia fiorentina dell’artista. Assenti i rappresentanti del Comune.
NOTA – Elisa Morucci è nata a Firenze; nel 1996 consegue il suo primo titolo di Maestra d’Arte. Studia Storia dell’Arte e Filosofia all’Università di Firenze; dopo la laurea, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Lavora a pieno regime dalla fine del 2016, appoggiandosi ad una fonderia di Pietrasanta, per la realizzazione delle sue opere in bronzo.
Dopo il suo esordio con una personale alla “Fondazione di Scienza e Tecnica” di Firenze svoltasi tra il febbraio e il marzo 2018, l’artista è stata invitata a partecipare a prestigiosi eventi, tra cui la collettiva/evento promossa dalla “Nobile Contrada del Nicchio e l’Antica Arte dei Vasai” a Siena e la I Biennale d’Arte di Pistoia. Lo scorso luglio, con uno dei suoi lavori dal titolo “Anima Mundi”, realizzata appositamente per il Musée d’Art et d’Archéologie di Antananarivo, ha ricevuto l’onore di essere accolta nella collezione permanente del museo. Un’altra copia di Anima Mundi è conservata nel Parco dell’Isalo sempre in Madagascar.
Gli studi storico-artistici, le ricerche antropologiche, le indagini personali nelle culture ancestrali ed il lavoro su se stessa, l’hanno portata alla semplice constatazione che “Il cielo è uno”, come ama ripetere. Le sue sculture prendono forma da una personale forza spirituale che sospinge l’artista verso il sacro.
Scheda-
Mostra: Opere Spiritus, personale di scultura di Elisa Morucci Luogo: Chiesa Santa Maria della Salute,Via della Pescheria, Viterbo Inaugurazione: 01 settembre 2018, ore 18.30 Durata Mostra: 02/16 settembre 2018 Orari Mostra: da Martedì a Domenica 10:00 – 13:00 / 16:00 – 19:00 – Ingresso libero
Informazioni: progettarte3d.weebly.com/
R – Questa opera è stata fatta in un lungo tempo, l’ho realizzata a Carrara dove andavo durante i miei studi una o due volte la settimana. Ci ho messo più di un anno e mezzo per realizzarla. E’ stato un lavoro veramente difficile. E’ stata la mia prima opera in resina, materia interessante anche dal puto di vista degli equilibri. Dentro c’è un’anima in ferro. Ho dovuto studiare la statica di questa opera per dare a chi la vedeva un’idea di qualcosa di pesante ed insieme leggero, pronta per spiccare il volo. Spero di poterla fare presto in bronzo, se trovo i fondi.
D – E’ una donna, potrebbe anche essere un uomo?
R – Potrebbe. Infatti l’ho rappresentata senza capelli. Nei musicanti la testa della donna è quello dell’uomo. L’anima è anima nell’essere umano. Questo tipo di partizione è tutto molto relativo. E’ un’anima incarnata che percorre il suo percorso e poi riesce a ritrovare la fonte. Anche l’espressione era veramente importante. Il volto è un autoritratto ma per l’espressione grave, cogitabonda e pensierosa mi sono molto ispirata a Michelangelo, mio maestro assoluto. Un corpo che è passato attraverso a tutte le fasi della vita, non deve essere idealizzato, è un corpo come tanti, un’anima come tante.
D – Questa è l’opera a cui tiene di più?
R – Sì perché viviamo in un universo negli universi e dobbiamo essere in grado di conoscere le potenzialità della propria natura profonda. Le altre opere sono venute dopo e sono opere simboliche, sono opere che hanno fisionomie anche umane però sono già simboli, percorsi alchemici”.
Tra i tanti ospiti illustri anche Massimo Mecarini, presidente del Sodalizio dei Facchini, alcuni critici d’arte, la poetessa Lorena Paris e tutta la famiglia fiorentina dell’artista. Assenti i rappresentanti del Comune.
NOTA – Elisa Morucci è nata a Firenze; nel 1996 consegue il suo primo titolo di Maestra d’Arte. Studia Storia dell’Arte e Filosofia all’Università di Firenze; dopo la laurea, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Lavora a pieno regime dalla fine del 2016, appoggiandosi ad una fonderia di Pietrasanta, per la realizzazione delle sue opere in bronzo.
Dopo il suo esordio con una personale alla “Fondazione di Scienza e Tecnica” di Firenze svoltasi tra il febbraio e il marzo 2018, l’artista è stata invitata a partecipare a prestigiosi eventi, tra cui la collettiva/evento promossa dalla “Nobile Contrada del Nicchio e l’Antica Arte dei Vasai” a Siena e la I Biennale d’Arte di Pistoia. Lo scorso luglio, con uno dei suoi lavori dal titolo “Anima Mundi”, realizzata appositamente per il Musée d’Art et d’Archéologie di Antananarivo, ha ricevuto l’onore di essere accolta nella collezione permanente del museo. Un’altra copia di Anima Mundi è conservata nel Parco dell’Isalo sempre in Madagascar.
Gli studi storico-artistici, le ricerche antropologiche, le indagini personali nelle culture ancestrali ed il lavoro su se stessa, l’hanno portata alla semplice constatazione che “Il cielo è uno”, come ama ripetere. Le sue sculture prendono forma da una personale forza spirituale che sospinge l’artista verso il sacro.
Scheda-
Mostra: Opere Spiritus, personale di scultura di Elisa Morucci Luogo: Chiesa Santa Maria della Salute,Via della Pescheria, Viterbo Inaugurazione: 01 settembre 2018, ore 18.30 Durata Mostra: 02/16 settembre 2018 Orari Mostra: da Martedì a Domenica 10:00 – 13:00 / 16:00 – 19:00 – Ingresso libero
Informazioni: progettarte3d.weebly.com/
Arte, “Sagome, storie di artiste ignorate”: Viterbo rende omaggio alle donne
ildenaro.it 23 agosto 2018 di Fiorella Franchini Donna e Arte, un binomio che per secoli ha evocato un’iconografia di bellezza e di grazia femminile, di senso materno, relegando il modello ad un ruolo statico, oggetto di desiderio o di sublimazione, o di semplice esecutrice di lavori manuali, tessitrice, ricamatrice, oscurandone l’aspetto interiore, l’estro creativo e la fantasia. Donne artiste ce ne sono state tante; già Plinio il Vecchio faceva riferimento nomi di pittrici greche: Timarete, Kalypso, Aristarete, Iaia e Olympas, e poi tutti ricordiamo Artemisia Gentileschi, ma troppe sono rimaste sconosciute o non hanno ottenuto il riconoscimento che meritavano al pari dei colleghi uomini. Le Sagome di Rosanna Borzelli, in esposizione allo Spazio Pensilina di Viterbo fino al 15 settembre raccontano la storia di alcune di quelle che sono state escluse, dimenticate, abbandonate. Sagome, storie di artiste ignorate” è il titolo della mostra promossa e organizzata da Giuseppina Del Signore, presidente dell’Associazione ProgettArte3D, in collaborazione con Promotuscia e con il patrocinio del Comune di Viterbo. Rossana Borzelli vive e lavora a Manziana in provincia di Roma erede delle solide tradizioni artistiche di suo nonno Umberto, ebanista e poeta, e di suo padre Cesare. Ha studiato arte con Leonardo Aprea a Napoli e con Giovanni Crisostomo a Roma e realizza opere spesso di grandi dimensioni, quadri e scenografie, dipinti ad olio su svariati supporti, dalla tela al legno e al ferro. Numerose le sue esposizioni in Italia, in Francia, Belgio, Finlandia, Germania. |
Rosanna, questa mostra è una creazione artistica, ma anche una ricerca documentale. Cosa c’è alla base di questo progetto?
Sono donne che hanno cercato di scardinare il loro tempo con la forza dirompente e creativa dell’arte: donne che non potevano far a meno di urlare la loro anima, dando voce all’anima collettiva femminile, da sempre assoggettata ad una società declinata e dominata al maschile. Presento questo progetto introducendolo con il frammento di una vecchia porta piena di catenacci: è la porta di un carcere, ma potrebbe essere anche quella di un manicomio. Su questo frammento ho scritto alcune date, antiche e recenti; sono limiti non solo temporali, sono limiti esistenziali, sono la porta dell’oltre: la soglia oltre la quale non si è riuscite a vivere la vita in modo “normale”, perché il progetto parla di donne oltre gli schemi e i paradigmi della cosiddetta normalità, donne oltre l’ordinario. Ho realizzato i loro ritratti su grandi lastre di ferro, perché la lamiera di ferro è essa stessa parte del messaggio, un substrato che trasmette l’impatto di una storia tagliente, dura, combattuta. Tuttavia, l’inizio del percorso ideale in questo scenario di sagome metalliche avviene attraverso un’ulteriore porta, la porta dedicata a Camille Claudel, che ha per me una valenza speciale. Infatti il progetto ha preso vita nel momento in cui mi sono fatta coinvolgere dalla vita di Camille, la prima delle artiste che ho ritratto.
Sedici opere in ferro dipinto sagomato, alte 2,50 metri, raffiguranti artiste di epoche diverse che hanno in comune la caratteristica di essere state trascurate e ignorate. Un riflettore che si accende su vite apparentemente diverse ma legate da un destino comune: intelligenza, talento, solitudine
Quali sono queste artiste?
In questo allestimento ho portato una ventina di sagome di artiste che sono state anche donne eroiche, innovatrici coraggiose che hanno espresso uno straordinario talento, mai supportato dalla gloria riservata ai loro contemporanei colleghi uomini. A parte Artemisia Gentileschi, sono ritratti di donne dell’ottocento e del novecento: scrittrici, pittrici, fotografe, poetesse, scultrici e molto altro, ma non tutte sono note al grande pubblico, proprio perché la loro vita è stata per molti aspetti una lotta controcorrente e la società non le ha certo accolte a braccia aperte. Una vita sofferta, dolorosa, difficile, che talvolta le ha spinte ai margini della follia, le ha confinate ai margini della società o addirittura le ha condotte a una fina precoce.
Artemisia è una delle più famose: non poteva mancare perché è diventata un simbolo della potenza artistica misconosciuta e della forza interiore femminile (la prima donna ad affrontare un processo per stupro) in grado di resistere perfino alla tortura per affermare la propria verità.
Dopo quella di Camille Claudel mi sono immersa nella lettura di altre biografie di artiste, trovando sorprendenti similitudini tra le loro vite: la fatica nell’emergere, nel persistere nel loro lavoro e soprattutto la dolorosa alienazione sperimentata nei rapporti affettivi, nei frequenti casi in cui diventavano compagne o amanti di artisti. Indipendentemente dal fatto che questi artisti fossero famosi o meno, queste relazioni in molti casi le hanno indotte a sviluppare atteggiamenti autolesionisti, nell’impossibilità di sostenere a lungo un rapporto affettivo o di stima con gli uomini da loro amati. Per alcune di loro, il destino finale è stato l’internamento. E’ accaduto.
Il progetto ha una dimensione corale, come se dialogassero tra loro la scultrice francese Camille Claudel, la scrittrice e pittrice inglese Leonora Carrington, la pittrice messicana Frida Kahlo, la fotografa e poetessa francese Dora Maar, La fotografa Inglese Margaret Cameron, la poetessa e scrittrice Catherin Pozzi, la fotografa e scrittrice Claude Cahun, donna anche di coraggioso impegno politico, la pittrice francese Seraphine Louise, la fotografa statunitense Francesca Woodman, le poetesse russe Marina Cvtaeva e Anna Achmatova; e ancora Lee Miller, Vanessa Bell, Dora Carrington, Tina Modotti, Valentine de Saint Point. C’è anche un autoritratto di Rosanna Borzellii.
Vicende diverse ma caratteristiche comuni, quali?
Tra le artiste da me raffigurate, troviamo storie che testimoniano come proprio gli uomini a loro vicini abbiano minato deliberatamente l’autostima e l’originalità delle loro compagne; è il caso, ad esempio, di Dora Maar che è stata una tra le tante amanti di Pablo Picasso. Di lei si diceva che fosse una fotografa intelligente e sensibile, un campo dove Picasso non era nessuno; la violenza psicologica perpetrata da Picasso su Dora fu veramente sottile e diabolica: la convinse a scendere sul suo stesso terreno, quello della pittura e ad abbandonare quello della fotografia; dopo di che la attaccò inesorabilmente e ferocemente, la umiliò mortificandola in un confronto in cui lui era un campione assoluto, per poi abbandonarla al suo destino. Per questo l’ho ritratta con due volti: il suo volto autentico e quello che Picasso volle dare di lei.
Ognuna impegnata in ambiti diversi, politico, sociale, scientifico, letterario, artistico, che tuttavia, hanno in comune la volontà di confrontarsi con il mondo, di coltivare e affermare i propri talenti, con caparbietà e spregiudicatezza. Oggi possiamo affermare che le donne, nell’Arte sono diventate protagoniste indiscusse, non solo artiste importanti e di fama internazionale, ma anche direttori di musei, storiche e critiche d’arte, docenti universitarie, galleriste, insomma interpreti attive a tutti i livelli. A Washington, D.C. esiste persino un luogo dedicato al talento delle donne: il National Museum of Women in the Arts (NMWA). L’unico museo al mondo impegnato nella valorizzazione delle artiste di ogni epoca e provenienza geografica, e una community internazionale coinvolge designer, architetti, stiliste, chef, musiciste, scrittrici e ancora imprenditrici, scienziate, ricercatrici, desiderose di confrontarsi e di affrontare nuove sfide e confronti.
Sono donne che hanno cercato di scardinare il loro tempo con la forza dirompente e creativa dell’arte: donne che non potevano far a meno di urlare la loro anima, dando voce all’anima collettiva femminile, da sempre assoggettata ad una società declinata e dominata al maschile. Presento questo progetto introducendolo con il frammento di una vecchia porta piena di catenacci: è la porta di un carcere, ma potrebbe essere anche quella di un manicomio. Su questo frammento ho scritto alcune date, antiche e recenti; sono limiti non solo temporali, sono limiti esistenziali, sono la porta dell’oltre: la soglia oltre la quale non si è riuscite a vivere la vita in modo “normale”, perché il progetto parla di donne oltre gli schemi e i paradigmi della cosiddetta normalità, donne oltre l’ordinario. Ho realizzato i loro ritratti su grandi lastre di ferro, perché la lamiera di ferro è essa stessa parte del messaggio, un substrato che trasmette l’impatto di una storia tagliente, dura, combattuta. Tuttavia, l’inizio del percorso ideale in questo scenario di sagome metalliche avviene attraverso un’ulteriore porta, la porta dedicata a Camille Claudel, che ha per me una valenza speciale. Infatti il progetto ha preso vita nel momento in cui mi sono fatta coinvolgere dalla vita di Camille, la prima delle artiste che ho ritratto.
Sedici opere in ferro dipinto sagomato, alte 2,50 metri, raffiguranti artiste di epoche diverse che hanno in comune la caratteristica di essere state trascurate e ignorate. Un riflettore che si accende su vite apparentemente diverse ma legate da un destino comune: intelligenza, talento, solitudine
Quali sono queste artiste?
In questo allestimento ho portato una ventina di sagome di artiste che sono state anche donne eroiche, innovatrici coraggiose che hanno espresso uno straordinario talento, mai supportato dalla gloria riservata ai loro contemporanei colleghi uomini. A parte Artemisia Gentileschi, sono ritratti di donne dell’ottocento e del novecento: scrittrici, pittrici, fotografe, poetesse, scultrici e molto altro, ma non tutte sono note al grande pubblico, proprio perché la loro vita è stata per molti aspetti una lotta controcorrente e la società non le ha certo accolte a braccia aperte. Una vita sofferta, dolorosa, difficile, che talvolta le ha spinte ai margini della follia, le ha confinate ai margini della società o addirittura le ha condotte a una fina precoce.
Artemisia è una delle più famose: non poteva mancare perché è diventata un simbolo della potenza artistica misconosciuta e della forza interiore femminile (la prima donna ad affrontare un processo per stupro) in grado di resistere perfino alla tortura per affermare la propria verità.
Dopo quella di Camille Claudel mi sono immersa nella lettura di altre biografie di artiste, trovando sorprendenti similitudini tra le loro vite: la fatica nell’emergere, nel persistere nel loro lavoro e soprattutto la dolorosa alienazione sperimentata nei rapporti affettivi, nei frequenti casi in cui diventavano compagne o amanti di artisti. Indipendentemente dal fatto che questi artisti fossero famosi o meno, queste relazioni in molti casi le hanno indotte a sviluppare atteggiamenti autolesionisti, nell’impossibilità di sostenere a lungo un rapporto affettivo o di stima con gli uomini da loro amati. Per alcune di loro, il destino finale è stato l’internamento. E’ accaduto.
Il progetto ha una dimensione corale, come se dialogassero tra loro la scultrice francese Camille Claudel, la scrittrice e pittrice inglese Leonora Carrington, la pittrice messicana Frida Kahlo, la fotografa e poetessa francese Dora Maar, La fotografa Inglese Margaret Cameron, la poetessa e scrittrice Catherin Pozzi, la fotografa e scrittrice Claude Cahun, donna anche di coraggioso impegno politico, la pittrice francese Seraphine Louise, la fotografa statunitense Francesca Woodman, le poetesse russe Marina Cvtaeva e Anna Achmatova; e ancora Lee Miller, Vanessa Bell, Dora Carrington, Tina Modotti, Valentine de Saint Point. C’è anche un autoritratto di Rosanna Borzellii.
Vicende diverse ma caratteristiche comuni, quali?
Tra le artiste da me raffigurate, troviamo storie che testimoniano come proprio gli uomini a loro vicini abbiano minato deliberatamente l’autostima e l’originalità delle loro compagne; è il caso, ad esempio, di Dora Maar che è stata una tra le tante amanti di Pablo Picasso. Di lei si diceva che fosse una fotografa intelligente e sensibile, un campo dove Picasso non era nessuno; la violenza psicologica perpetrata da Picasso su Dora fu veramente sottile e diabolica: la convinse a scendere sul suo stesso terreno, quello della pittura e ad abbandonare quello della fotografia; dopo di che la attaccò inesorabilmente e ferocemente, la umiliò mortificandola in un confronto in cui lui era un campione assoluto, per poi abbandonarla al suo destino. Per questo l’ho ritratta con due volti: il suo volto autentico e quello che Picasso volle dare di lei.
Ognuna impegnata in ambiti diversi, politico, sociale, scientifico, letterario, artistico, che tuttavia, hanno in comune la volontà di confrontarsi con il mondo, di coltivare e affermare i propri talenti, con caparbietà e spregiudicatezza. Oggi possiamo affermare che le donne, nell’Arte sono diventate protagoniste indiscusse, non solo artiste importanti e di fama internazionale, ma anche direttori di musei, storiche e critiche d’arte, docenti universitarie, galleriste, insomma interpreti attive a tutti i livelli. A Washington, D.C. esiste persino un luogo dedicato al talento delle donne: il National Museum of Women in the Arts (NMWA). L’unico museo al mondo impegnato nella valorizzazione delle artiste di ogni epoca e provenienza geografica, e una community internazionale coinvolge designer, architetti, stiliste, chef, musiciste, scrittrici e ancora imprenditrici, scienziate, ricercatrici, desiderose di confrontarsi e di affrontare nuove sfide e confronti.
Oggi le donne trovano sempre maggiori spazi nei musei e nelle gallerie ma è sufficiente?
Per comprende veramente a che punto è l’equilibrio dei generi femminile e maschile nella nostra epoca l’arte non basta, bisogna guardare oltre: cosa accade nella politica, nella società, nella scienza, nella filosofia? La risposta diventa immediatamente evidente. Ma se la domanda è sull’arte, la riflessione diventa più specifica, la presenza femminile è ancora molto scarsa, la nostra visibilità è una conquista lenta e faticosa, perché la nostra società era e resta dominata fondamentalmente da logiche di potere, logiche economiche e lobbistiche, aliene dalla nostra più profonda natura, inoltre è da poco tempo che è stato consentito al genere femminile di cimentarsi nell’arte, nei secoli alcune sono riuscite, ma erano delle perle rare. C’è un filo rosso che attraversa le opere, le mostre e le posizioni raggiunte da artiste e curatrici del mondo dell’arte? E’ difficile abbracciare con lo sguardo l’intero panorama. Il palcoscenico attuale dell’arte è diventato vasto come l’intero pianeta, e quindi dovremo per forza generalizzare. L’arte al femminile -nel tempo attuale- ha avuto il compito di far emergere un immenso dolore e un’immensa rabbia, dar voce al dramma più che alla bellezza. Le donne che oggi raggiungono posizioni di visibilità nel mondo dell’arte, quando sono profondamente autentiche, sono presenze che aprono lo spazio del taciuto. Probabilmente è questo un filo rosso dell’immensa trama. Da un punto di vista più pragmatico, il fatto che nel “sistema-arte” oggi siano inserite in posizioni apicali molte donne tra curatrici, direttrici di mostre e collezioniste, fa in modo che spesso le loro scelte contribuiscano a far crescere la visibilità dell’arte realizzata da donne. Sebbene non sia affatto confortante rilevare che siano le donne e non la società intera a valorizzare le artiste, la progressiva apertura a cui stiamo assistendo modifica lentamente la realtà. La lotta di genere, almeno in campo artistico, sembra volgere al termine e si fa strada, piuttosto, un approccio che esalta le diversità e l’idea che la donne artiste siano portatrici di valori aggiunti, di uno sguardo altro, dovuto non tanto alle differenze biologiche, quanto a quelle culturali. |
Secondo lei quanto il femminismo ha rivoluzionato il mondo dell’arte?
Forse è vero anche il contrario. L’arte, con le sue avanguardie, è stata carburante e propellente per un cambiamento sociale, per lo scardinamento dei ruoli che abbiamo chiamato femminismo, (a questo proposito Valentine de Saint Point aveva anticipato molto i tempi) Il femminismo è stata una rivoluzione necessaria e all’inizio convergeva su tematiche basilari di sopravvivenza; come tutte le rivoluzioni è fisiologicamente insufficiente a dar vita ad una nuova realtà risanata. Perché la distruzione dei vecchi paradigmi è di necessità un processo forte, violento, tanto doloroso quanto irrinunciabile, mentre costruire il nuovo è un processo lento e non lineare, faticoso e profondo. E’ un processo culturale multidimensionale che richiede non decenni, ma secoli di lavoro e ad oggi non posso certo dire di essere soddisfatta del risultato a cui siamo arrivate.
Una guerra apparentemente vinta che, tuttavia, ha lasciato sul campo mille e mille eroine più o meno anonime, paga ancora un tributo di sangue che non si estingue. Il cammino è lungo. Alle vittime dei pregiudizi del passato e del presente è dedicata questa mostra, a tutte le donne di cui, ha scritto Maria Desiderio nello splendido catalogo: “Non troverete nessuna traccia dei nostri nomi, nelle pagine della vostra storia. Tutte troppo indecenti, libere, pazze, maschili, irrequiete, geniali, depresse. Eravamo l’avanguardia delle avanguardie, il filo spinato nei vostri salotti…”. Le opere di Rosanna Borzelli rimandano al loro dramma interiore che spesso ha accompagnato la profonda sensibilità di cui si alimentano le loro doti, a chi c’è l’ha fatta e a chi ha pagato con la vita, a chi ha rinunciato.
L’Arte le rende immortali, la poesia consola la loro anima peregrina:
Ho sugli occhi/la stanchezza/di tutto il cielo/ che si è versato/muto/sopra la mia terra, /le case ingrate, /il bosco folle. /Riconoscenza/del gesto precario. /Ogni istante. (Lorena Paris)
Forse è vero anche il contrario. L’arte, con le sue avanguardie, è stata carburante e propellente per un cambiamento sociale, per lo scardinamento dei ruoli che abbiamo chiamato femminismo, (a questo proposito Valentine de Saint Point aveva anticipato molto i tempi) Il femminismo è stata una rivoluzione necessaria e all’inizio convergeva su tematiche basilari di sopravvivenza; come tutte le rivoluzioni è fisiologicamente insufficiente a dar vita ad una nuova realtà risanata. Perché la distruzione dei vecchi paradigmi è di necessità un processo forte, violento, tanto doloroso quanto irrinunciabile, mentre costruire il nuovo è un processo lento e non lineare, faticoso e profondo. E’ un processo culturale multidimensionale che richiede non decenni, ma secoli di lavoro e ad oggi non posso certo dire di essere soddisfatta del risultato a cui siamo arrivate.
Una guerra apparentemente vinta che, tuttavia, ha lasciato sul campo mille e mille eroine più o meno anonime, paga ancora un tributo di sangue che non si estingue. Il cammino è lungo. Alle vittime dei pregiudizi del passato e del presente è dedicata questa mostra, a tutte le donne di cui, ha scritto Maria Desiderio nello splendido catalogo: “Non troverete nessuna traccia dei nostri nomi, nelle pagine della vostra storia. Tutte troppo indecenti, libere, pazze, maschili, irrequiete, geniali, depresse. Eravamo l’avanguardia delle avanguardie, il filo spinato nei vostri salotti…”. Le opere di Rosanna Borzelli rimandano al loro dramma interiore che spesso ha accompagnato la profonda sensibilità di cui si alimentano le loro doti, a chi c’è l’ha fatta e a chi ha pagato con la vita, a chi ha rinunciato.
L’Arte le rende immortali, la poesia consola la loro anima peregrina:
Ho sugli occhi/la stanchezza/di tutto il cielo/ che si è versato/muto/sopra la mia terra, /le case ingrate, /il bosco folle. /Riconoscenza/del gesto precario. /Ogni istante. (Lorena Paris)
LO SCULTORE E ORAFO AKELO È PRONTO A ESPORRE AL PROGETTARTE3D DI VITERBOCorriere di Viterbo, 19/06/2013. Una mostra artistica al ProgettArte3D di Viterbo esplora le opere di Andrea Cagnetti, in arte Akelo. L’artista originario di Corchiano è concentrato sullo studio di testi alchemici e delle fonti letterarie greche e latine tradizionali, riservando particolare attenzione ai trattati di metallurgia, oreficeria, lavorazione delle pietre e della ceramica. Studi e sperimentazioni che lo avrebbero portato a creare un "corpus" di opere, composto di gioielli tecnicamente ineccepibili realizzati con metodiche risalenti a oltre 3.000 anni fa e di sculture in metallo, scabre e volutamente incompiute di estrema avanguardia.
L’esposizione inaugurerà domenica 23 alle 19 e rimarrà aperta fino al 7 luglio. Il nome della personale, "Materia Nova", si ispira al celeberrimo capolavoro dantesco “Vita Nova” e vuole sottolineare come le opere che esporrà siano l’espressione di un rinnovamento interiore dell’artista e rappresentino una svolta importante nell’itinerario creativo di Akelo. Nel capoluogo della Tuscia sarà possibile ammirare le forme umane rappresentate dall’artista in un perfetto equilibrio tra arte classica e contemporanea. Il Cagnetti scultore utilizza un materiale forte e ruvido come il ferro e Akelo orafo invece usa il più prezioso e morbido dei metalli, l’oro. Due poli all’apparenza tanto lontani da apparire inconciliabili, ma in realtà uniti dallo stesso, sottile “fil rouge”: una sorta di processo a ritroso dell’alchimista che, dopo aver lavorato il materiale più sublime, intende riscoprirne le umili origini di materia plasmabile. Con la profonda convinzione che tutte le minuscole particelle che compongono la materia del cosmo, siano sospese nel vuoto, in attesa di essere plasmate in entità superiori che assumono forme e collocazioni differenti, ma sempre animate dal sottile soffio della creazione e della vita. I lavori di Akelo sono stati esposti in diverse mostre di carattere nazionale ed internazionale e hanno avuto ampia risonanza nei media di tutto il mondo. Negli ultimi anni, inoltre, alcuni pezzi sono entrati a far parte delle collezioni permanenti di importanti musei negli USA come il Museum of Art and Archeology a Columbia in Missouri e il Museum of Fine Art di Boston. - See more at: http://www.corriereviterbo.it/notizie/lo-scultore-e-orafo-akelo-e-pronto-a-esporre#sthash.LryVYGvG.dpuf |
FIGURE ANTROPOMORFE NELLA MOSTRA "MATERIA NOVA". QUALCHE DOMANDA ALL'ARTISTA ANDREA CAGNETTI AKELOScritto da Maria Antonietta Germano
Tuscia Times, 24/06/2013. Mancano pochi giorni alla kermesse di Caffeina (27 giugno) ed ecco che il vecchio quartiere di San Pellegrino si anima e anticipa incontri culturali. Ieri sera, 23 giugno, presso la Sala Turchetti in piazza del Fosso 2, l’associazione ProgettArte3D ha tagliato il nastro inaugurale della bella mostra di Andrea Cagnetti Akelo dal titolo “Materia Nova” (24 giugno – 7 luglio). A Viterbo sono esposte quindici sculture dell’artista orafo, conosciuto nel mondo come colui che fa rivivere l’arte degli antichi Etruschi. Alcuni suoi lavori fanno parte di collezioni permanenti in grandi musei americani come il Museum of Art ad Archeology a Columbia in Missouri e il Museum of Fine Art di Boston. Tra i numerosi ospiti giunti da ogni dove è arrivato anche il sindaco Leonardo Michelini che si è complimentato con l’artista e con la curatrice della mostra Giuseppina Del Signore. In un momento di calma riusciamo ad avvicinare Andrea Cagnetti, in arte Akelo (da Acheloo, figlio delle divinità greche Oceano e Teti) e a sottoporgli alcune domande. Lei è un orafo di grande fama, anzi un cesellatore di oggetti e gioielli che realizza con metodi risalenti a 3mila anni fa. Com'è passato a fare sculture, anche di grandi dimensioni, utilizzando il ferro? “Sono opere che nascono da sperimentazioni di metallurgica artistica, ma restano in perfetto equilibrio con ciò che è antico e queste qui esposte, sono suddivise in due temi: Gli antropomorfi che sono figure ispirate all’archeologia, dove riprendo la classicità dei corpi e gli Strani meccanismi che sono una parte meccanica di lavori astratti”. Prima di realizzare una scultura, fa dei disegni preparatori? “Sì, abbozzo qualcosa ma poi vado giù di getto”. I busti acefali e tessuti con anelli di metallo sembrano oggetti preziosi, com'è possibile? “Le sculture sono realizzate con ferro riciclato. In alcuni casi il metallo è trattato con ossido, mentre in altri è applicata una mano di protettivo e ossidi naturali con l’aggiunta di cere che bloccano lo stato ossidativo e rendono quell’effetto “prezioso” che lei vede”. Queste figure antropomorfe e volutamente incompiute, ricordano le armature di antichi guerrieri… “Forse lei allude alla cotta di maglia metallica indossata nelle guerre dell’Antica Grecia realizzate da abili artigiani del ferro. Non era questo il mio intento e non ne vedo la somiglianza, anche se la mia opera si chiama Apollo….”. Osservo alcune delle opere che lei chiama “Strani meccanismi”e le associo a immagini conosciute, come La Torre di Babele, oppure una probabile macchina da proiezione del Cinema Paradiso. E’ possibile? “Perché no? E’ il bello dell’arte. Ognuno, con la propria sensibilità e fantasia, può vedere ciò che crede. Per La Torre di Babele, è un’osservazione verosimile perché il mio lavoro vuole essere un omaggio al grande pittore Pieter Bruegel il Vecchio, mentre mi diverte assai l’idea del Cinema Paradiso…” Che programmi ha per il futuro? “Dopo questa mostra viterbese, ne ho in cantiere una a Napoli e una in Toscana; forse a novembre sarò a Parigi e poi in giro per l’Italia e per il mondo”. Farà nuove opere? “ Non so. Queste qui esposte sono solo alcune, ma ne ho ancora molte perché non amo lasciarle andar via. Sono tutti pezzi unici. Me ne privo senza rammarico solo se vanno a stare in qualche Museo, come negli Stati Uniti”. Bene, ringraziamo l’artista mentre continuiamo a osservare le opere della “Materia Nova”, per scoprire altre possibili contaminazioni visive. Nota. La mostra simboleggia un nuovo inizio artistico dell'autore che a Viterbo si propone come scultore di opere in ferro, in opposizione al metallo prezioso che è abituato a forgiare. Il titolo della mostra s’ispira al celeberrimo capolavoro dantesco “Vita Nova”. Andrea Cagnetti, anima antica, è da sempre dedito a un’esistenza riservata nel suo paese d’origine, Corchiano costruito sulle rovine della leggendaria città etrusca di Fescennia. Info. www akelo.it |
Le quinte di Otello, un successo annunciato
PRIMA PAGINA
di M.Antonietta Germano
Martedì 02 Novembre 2010 09:43
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Viterbo - Venerdì 30 ottobre, nello spazio di ProgettArte3D in Piazza San Pellegrino 1, si è tenuto il vernissage della mostra “Le quinte di Otello” di Diego Iaia. Sono intervenuti numerosi galleristi e critici d’arte provenienti da Roma, e molti amici venuti a salutare e a rievocare con l’artista tanti bei ricordi legati alla sua famiglia viterbese. Si torna sempre nei luoghi dove si è trascorsa un’infanzia felice.
Entriamo nello spazio di ProgettArte accolti dalle medium-pitture di Diego Iaia Di fronte a noi una serie di ritratti-collages inframmezzati da un ritratto di gruppo che Iaia affida alla manipolazione di elenchi telefonici. La personalità dei ritratti è annullata, anzi si può dire intuitiva poichè i personaggi rappresentati sono frutto dell’assemblaggio di più figure umane. Le opere che a prima vista sembrano dei collage, in realtà sono dei dipinti realizzati a olio. Sulle pareti laterali le grandi figure di Desdemona, Otello e il Moro in costume teatrale sembrano uscire dalle quinte di un palco per mostrarsi al pubblico. L’effetto è notevole. La tecnica usata anche qui, e che rappresenta lo stile di Iaia, è una sovrapposizione di colore: prima l’olio, poi l’acrilico e infine la resina. Queste grandi figure fanno parte del progetto “Le quinte di Otello” una ricerca intorno alla manipolazione del reale, all’arte come rappresentazione, alla mimesi e all’imitazione. Ecco quindi il riferimento a Orson Welles che scelse come scenografia del film (Othello, 1952) luoghi diversi da quelli in cui la storia era ambientata. Non era l’isola di Cipro, dunque, ma Venezia, il Marocco, Tuscania e, soprattutto, Viterbo. Nella capitale della Tuscia furono girate, nel 1949, alcune tra le principali scene del film con un ruolo speciale assegnato al Palazzo dei Papi, attraverso il cui colonnato, con soluzioni sceniche all’avanguardia per il tempo, Welles fece persino magicamente intravedere il mare.
A porre l'accento sull’importanza dell’iniziativa è intervenuto Antonello Ricci che con una piacevole Introduzione alla mostra ha raccolto intorno a sé tutto il pubblico ed ha recitato anche alcuni brani tratti dal diario, ricordo delle riprese del film, dell’attore Micheál mac Liammóir, Un onesto Iago a spasso per Tuscania, 1949. L’onesto Iago, trad. italiana Giunti, Firenze 1995, e raccolti nel 1998 con quelli di altri viaggiatori dell'immaginario nel libro Tuscia. Viaggio in leggio Editore Sette Città.
Mostra: Diego IAIA, Le Quinte di Otello
Luogo: ProgettArte3D - piazza S. Pellegrino, 1 - 01100 Viterbo
Durata Mostra: 31Ottobre – 28 Novembre 2010
Orari Mostra: feriali per appuntamento, festivi 10:00-13:00 / 15:00-19:00
Informazioni: [email protected] cell. +393358379357
di M.Antonietta Germano
Martedì 02 Novembre 2010 09:43
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Viterbo - Venerdì 30 ottobre, nello spazio di ProgettArte3D in Piazza San Pellegrino 1, si è tenuto il vernissage della mostra “Le quinte di Otello” di Diego Iaia. Sono intervenuti numerosi galleristi e critici d’arte provenienti da Roma, e molti amici venuti a salutare e a rievocare con l’artista tanti bei ricordi legati alla sua famiglia viterbese. Si torna sempre nei luoghi dove si è trascorsa un’infanzia felice.
Entriamo nello spazio di ProgettArte accolti dalle medium-pitture di Diego Iaia Di fronte a noi una serie di ritratti-collages inframmezzati da un ritratto di gruppo che Iaia affida alla manipolazione di elenchi telefonici. La personalità dei ritratti è annullata, anzi si può dire intuitiva poichè i personaggi rappresentati sono frutto dell’assemblaggio di più figure umane. Le opere che a prima vista sembrano dei collage, in realtà sono dei dipinti realizzati a olio. Sulle pareti laterali le grandi figure di Desdemona, Otello e il Moro in costume teatrale sembrano uscire dalle quinte di un palco per mostrarsi al pubblico. L’effetto è notevole. La tecnica usata anche qui, e che rappresenta lo stile di Iaia, è una sovrapposizione di colore: prima l’olio, poi l’acrilico e infine la resina. Queste grandi figure fanno parte del progetto “Le quinte di Otello” una ricerca intorno alla manipolazione del reale, all’arte come rappresentazione, alla mimesi e all’imitazione. Ecco quindi il riferimento a Orson Welles che scelse come scenografia del film (Othello, 1952) luoghi diversi da quelli in cui la storia era ambientata. Non era l’isola di Cipro, dunque, ma Venezia, il Marocco, Tuscania e, soprattutto, Viterbo. Nella capitale della Tuscia furono girate, nel 1949, alcune tra le principali scene del film con un ruolo speciale assegnato al Palazzo dei Papi, attraverso il cui colonnato, con soluzioni sceniche all’avanguardia per il tempo, Welles fece persino magicamente intravedere il mare.
A porre l'accento sull’importanza dell’iniziativa è intervenuto Antonello Ricci che con una piacevole Introduzione alla mostra ha raccolto intorno a sé tutto il pubblico ed ha recitato anche alcuni brani tratti dal diario, ricordo delle riprese del film, dell’attore Micheál mac Liammóir, Un onesto Iago a spasso per Tuscania, 1949. L’onesto Iago, trad. italiana Giunti, Firenze 1995, e raccolti nel 1998 con quelli di altri viaggiatori dell'immaginario nel libro Tuscia. Viaggio in leggio Editore Sette Città.
Mostra: Diego IAIA, Le Quinte di Otello
Luogo: ProgettArte3D - piazza S. Pellegrino, 1 - 01100 Viterbo
Durata Mostra: 31Ottobre – 28 Novembre 2010
Orari Mostra: feriali per appuntamento, festivi 10:00-13:00 / 15:00-19:00
Informazioni: [email protected] cell. +393358379357
“Le custodi dell’arte”, una mostra di successo di Esposizioni Fuori Luogo
di Maria Antonietta Germano
L’associazione ProgettArte3D ha inaugurato ieri, 31 maggio, presso l’ICult di BIC Lazio(Valle Faul), il nuovo progetto di esposizioni d’arte “Fuori Luogo” con la mostra aborigena“Le custodi dell’arte”. L’Arte si sposta dai consueti spazi, esce, e va tra la gente che lavora e che transita nei palazzi pubblici, come uffici postali, amministrativi, banche, fabbriche, ospedali, luoghi dove le persone si recano di frequente o sostano per molto tempo. Non è forse il modo più semplice per ammirare una mostra?
Il progetto, ” Esposizioni Fuori Luogo”presentato ieri da Giuseppina Del Signore ha già la collaborazione dell’ICult di Bic Lazio, e l’appoggio dell’Assessorato ai Grandi eventi del Comune di Viterbo, della Provincia di Viterbo e delle Poste Provinciali di Viterbo che ne consentirà la sua attuazione futura.
“Il valore aggiunto di questo progetto – spiegaGiuseppina Del Signore nella presentazione – è la perseveranza di portare l’arte, lentamente ma sempre più spesso, fuori luogo, tra la gente”.
“Un’iniziativa come questa che porta l’arte internazionale al centro di Viterbo – replica l’assessore comunale Giacomo Barelli – è il sintomo che qualcosa sta cambiando e le idee vanno sostenute. Credo che queste esposizioni fuori luogo, in realtà abbiano trovano lo spazio che loro cercano”.
“Forse non è l’arte fuori luogo – continua l’assessore Barelli – ma sono i nostri posti di lavoro fuori tempo e non idonei, e riportare l’arte contemporanea in questi luoghi può essere la chiave di volta per trovare un nuovo modo di vivere l’arte e il lavoro, la bellezza aiuta. Per questo posso dire, che dopo le Poste di Viterbo, anche il Comune di Viterbo, nei suoi uffici pubblici, è a disposizione per trovare il luogo adatto per un’esposizione”.
“Le custodi dell’arte”, (in mostra dall’1 al 15 giugno 2014) sono dei bellissimi lavori eseguiti da sette artiste aborigene australiane che esprimono sensazioni e suggestioni con piccole pennellate rapide e intense. : Ningura Napurrula, Gloria Petyarre, Evelyn Pultara, Judy Watson Napangardi, Walangkura Napanangka, Yinarupa Nangala e Louise Numina. Le artiste sono originarie di diverse regioni centro-occidentali dell’Australia, la maggior parte di loro oggi è ultra settantenne e ci consegna un patrimonio storico-artistico importante per le future generazioni del mondo. La collezione delle opere in mostra è il risultato di una ricerca svolta nel rispetto dei principi espressi da INDIGENOUS ART CODE che mirano a salvaguardare l’arte indigena australiana.
Durante la serata, è stato possibile ascoltare le musiche originali di tre strumentisti accolti dal pubblico con calorosi applausi: Christian Muela al didgeridoo, Ivan Macera alle percussioni e Cristiano Carrano al sax che hanno dialogato con le opere. Un successo sottolineato dalla presenza del consigliere regionale Valentini, da consiglieri comunali e da tanti artisti e galleristi provenienti da Roma.
La mostra si svolge in collaborazione Onde Move Eventi e ha il patrocinio dell’Ambasciata d’Australia, FIDAPA Viterbo, Archeoares e Rotary Club Viterbo. Con il contributo della Tenuta Ronci di Nepi e l’Azienda Agricola Valentini.
NOTA. In assenza di tradizione scritta, l’antichissima cultura aborigena si trasmetteva attraverso segni grafici sulla corteccia degli alberi e con decorazioni sul corpo. Fino a pochi decenni fa, era del tutto sconosciuta, le cortecce di eucalipto dipinte erano considerati souvenir per turisti. Fu solo nel 1971 che Geoffrey Bardon, un maestro della scuola di Papunya, propose ai suoi alunni di decorare le pareti della scuola. Alcuni anziani aborigeni offrirono il loro aiuto e la comunità manifestò subito grande interesse per i murales, così tutti contribuirono realizzando sui muri quello che da sempre avevano disegnato a terra durante le cerimonie.
Dal muro alla tela il passo fu quasi naturale e così, attraverso questa produzione artistica, fu tramandato al mondo il patrimonio culturale di questo popolo. Questa indiscussa affermazione artistica rappresentò un contributo molto importante anche per il riconoscimento della civiltà aborigena come tale dando alla comunità quella dignità che le era stata sempre negata.
La pittura aborigena contemporanea non può, quindi, essere considerata solo un’espressione creativa locale ma essenza di una civiltà quasi scomparsa che sopravvive in Australia ormai solo nelle zone più desertiche dove ancora la vita e i riti delle comunità sono in armonia con la natura.
L’atto stesso del dipingere per gli aborigeni è una forma di mediazione tra la Natura e la sua comprensione da parte dell’uomo e ogni opera nasce dal sogno che, in questa cultura, rappresenta l’unica condizione che avvicina l’uomo alla conoscenza. È un vero e proprio linguaggio simbolico, diverso da tribù a tribù, che racchiude tutta la storia di questo popolo. In queste tele, infatti, non c’è mai la rappresentazione della realtà ma solo della materia nebulosa (DotArt) di cui sono fatti i sogni e i colori sono sempre decisi e caldi, come il clima e i luoghi della terra australiana, dove anche il deserto diventa colore e tavolozza per esprimersi.
Da rilevare, infine, come nella pittura aborigena sia sbagliato cercare similitudini con altre forme pittoriche che questo popolo non ha mai conosciuto, liberi da ogni influenza seguono i loro sogni e le loro visioni. Il fascino di queste opere è legato soprattutto al senso di libertà assoluta che l’assenza di un punto di vista obbligato determina, e così riescono ad affascinarci per quello che sono e non per quello che rappresentano.
link: http://www.tusciatimes.eu/wordpress/?p=13300
Il progetto, ” Esposizioni Fuori Luogo”presentato ieri da Giuseppina Del Signore ha già la collaborazione dell’ICult di Bic Lazio, e l’appoggio dell’Assessorato ai Grandi eventi del Comune di Viterbo, della Provincia di Viterbo e delle Poste Provinciali di Viterbo che ne consentirà la sua attuazione futura.
“Il valore aggiunto di questo progetto – spiegaGiuseppina Del Signore nella presentazione – è la perseveranza di portare l’arte, lentamente ma sempre più spesso, fuori luogo, tra la gente”.
“Un’iniziativa come questa che porta l’arte internazionale al centro di Viterbo – replica l’assessore comunale Giacomo Barelli – è il sintomo che qualcosa sta cambiando e le idee vanno sostenute. Credo che queste esposizioni fuori luogo, in realtà abbiano trovano lo spazio che loro cercano”.
“Forse non è l’arte fuori luogo – continua l’assessore Barelli – ma sono i nostri posti di lavoro fuori tempo e non idonei, e riportare l’arte contemporanea in questi luoghi può essere la chiave di volta per trovare un nuovo modo di vivere l’arte e il lavoro, la bellezza aiuta. Per questo posso dire, che dopo le Poste di Viterbo, anche il Comune di Viterbo, nei suoi uffici pubblici, è a disposizione per trovare il luogo adatto per un’esposizione”.
“Le custodi dell’arte”, (in mostra dall’1 al 15 giugno 2014) sono dei bellissimi lavori eseguiti da sette artiste aborigene australiane che esprimono sensazioni e suggestioni con piccole pennellate rapide e intense. : Ningura Napurrula, Gloria Petyarre, Evelyn Pultara, Judy Watson Napangardi, Walangkura Napanangka, Yinarupa Nangala e Louise Numina. Le artiste sono originarie di diverse regioni centro-occidentali dell’Australia, la maggior parte di loro oggi è ultra settantenne e ci consegna un patrimonio storico-artistico importante per le future generazioni del mondo. La collezione delle opere in mostra è il risultato di una ricerca svolta nel rispetto dei principi espressi da INDIGENOUS ART CODE che mirano a salvaguardare l’arte indigena australiana.
Durante la serata, è stato possibile ascoltare le musiche originali di tre strumentisti accolti dal pubblico con calorosi applausi: Christian Muela al didgeridoo, Ivan Macera alle percussioni e Cristiano Carrano al sax che hanno dialogato con le opere. Un successo sottolineato dalla presenza del consigliere regionale Valentini, da consiglieri comunali e da tanti artisti e galleristi provenienti da Roma.
La mostra si svolge in collaborazione Onde Move Eventi e ha il patrocinio dell’Ambasciata d’Australia, FIDAPA Viterbo, Archeoares e Rotary Club Viterbo. Con il contributo della Tenuta Ronci di Nepi e l’Azienda Agricola Valentini.
NOTA. In assenza di tradizione scritta, l’antichissima cultura aborigena si trasmetteva attraverso segni grafici sulla corteccia degli alberi e con decorazioni sul corpo. Fino a pochi decenni fa, era del tutto sconosciuta, le cortecce di eucalipto dipinte erano considerati souvenir per turisti. Fu solo nel 1971 che Geoffrey Bardon, un maestro della scuola di Papunya, propose ai suoi alunni di decorare le pareti della scuola. Alcuni anziani aborigeni offrirono il loro aiuto e la comunità manifestò subito grande interesse per i murales, così tutti contribuirono realizzando sui muri quello che da sempre avevano disegnato a terra durante le cerimonie.
Dal muro alla tela il passo fu quasi naturale e così, attraverso questa produzione artistica, fu tramandato al mondo il patrimonio culturale di questo popolo. Questa indiscussa affermazione artistica rappresentò un contributo molto importante anche per il riconoscimento della civiltà aborigena come tale dando alla comunità quella dignità che le era stata sempre negata.
La pittura aborigena contemporanea non può, quindi, essere considerata solo un’espressione creativa locale ma essenza di una civiltà quasi scomparsa che sopravvive in Australia ormai solo nelle zone più desertiche dove ancora la vita e i riti delle comunità sono in armonia con la natura.
L’atto stesso del dipingere per gli aborigeni è una forma di mediazione tra la Natura e la sua comprensione da parte dell’uomo e ogni opera nasce dal sogno che, in questa cultura, rappresenta l’unica condizione che avvicina l’uomo alla conoscenza. È un vero e proprio linguaggio simbolico, diverso da tribù a tribù, che racchiude tutta la storia di questo popolo. In queste tele, infatti, non c’è mai la rappresentazione della realtà ma solo della materia nebulosa (DotArt) di cui sono fatti i sogni e i colori sono sempre decisi e caldi, come il clima e i luoghi della terra australiana, dove anche il deserto diventa colore e tavolozza per esprimersi.
Da rilevare, infine, come nella pittura aborigena sia sbagliato cercare similitudini con altre forme pittoriche che questo popolo non ha mai conosciuto, liberi da ogni influenza seguono i loro sogni e le loro visioni. Il fascino di queste opere è legato soprattutto al senso di libertà assoluta che l’assenza di un punto di vista obbligato determina, e così riescono ad affascinarci per quello che sono e non per quello che rappresentano.
link: http://www.tusciatimes.eu/wordpress/?p=13300
“LE CUSTODI DELL’ ARTE”
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L’arte di Ramón Soberon Gomez-Palaciom Viterbo_Hotel Salus Terme
01/Dicembre/2014 - 17:02
hotel Salus Terme,ProgettArte3D, Ramón Soberon Gomez-Palaciom Grande entusiasmo per le opere di Ramón Soberon Gomez-Palaciomche da sabato adornano la hall e la galleria dell’hotel Salus Terme. Organizzata dall’associazione culturale ProgettArte3D, con il patrocinio della Fidapa la personale "Il mio universo" ha colto nel segno. Un segno distintivo particolarissimo, pieno di colore, tecnica e una voglia di comunicare che esplode dalle opere per arrivare dritto al cuore di chi le guarda.Sono 19 le opere esposte, tutte realizzate su carta, con tecnica mista che parte dalla china per arricchirsi di acrilico, ceramica, oro e pittura con sfumature bronzee, argentate, ferrose. Tutto permette di formare quell'universo che domina l’animo di Ramón e scaturisce prepotentemente sulla carta, celato in sguardi, ali di personaggi mitologici, e ogni elemento che possa dare movimento. |
Opere che necessitano un lavoro intenso, che travolge Soberon Gomez-Palacio per settimane, fino alla conclusione, fino all'inserimento dell’ultimo minuscolo dettaglio. Il risultato è un quadro da cui scaturisce un tema estetico fondamentale, che crea una sensazione armonica, in linea con un movimento esclusivo. "Gran parte dell'ispirazione viene dalla mia terra – confessa Ramón – la Cantabria, a nord della Spagna, una sorta di Eden, di Paradiso, che ho comunque ritrovato anche qui nel viterbese, con una natura dirompente, che domina e accoglie amorevolmente. Una passione vissuta pienamente, che poi sviluppo nei miei quadri, curando ogni minimo particolare, attraverso forme, materiali e soprattutto colore, che cambia e domina a seconda della luce presente". La mostra “Il mio universo” è ospitata presso l’hotel Salus Terme, strada Tuscanese 26-28, Viterbo, che sponsorizza l’iniziativa, fino al 10 gennaio 2015 con ingresso libero.
Caffeina. “Astratto e Natura”, cinque artisti in mostra nelle Esposizioni Fuori Luogo
Tuscia Times: “Profondo Jonio” di Valerio De Nardo: intrighi, solitudini e paure in terra di Calabria.
Paradigma della crisi politica anche viterbese.
Domenica, 23 Marzo 2014 13:05 Scritto Da M.A.Germano
Emozioni, ricordi, avventure hanno dato il via ieri sera 22 marzo al dibattito promosso e organizzato dall’associazione ProgettArt3D, presso ICult della Bic Lazio a Valle Faul, con lo scrittore Valerio De Nardo, autore del libro “Profondo Jonio” (Leonida Edizioni). Il titolo del libro non solo vuole indicare la longitudine e la latitudine del mare Jonio ma anticipa, con il racconto di una storia verosimile ambientata in Calabria, il paradigma della crisi politica e sociale del nostro Paese.
La chiave di lettura è valida non solo per la società calabrese ma anche per quella viterbese perché spiega ciò che caratterizza una crisi, che cosa avviene, su quali livelli si sviluppa e perché poi questa crisi produce delle trasformazioni non solo sul piano antropologico e politico, ma prettamente anche sul piano sociale. “Profondo Jonio” non è solo lo sprofondo dove avviene uno degli aspetti più importanti del libro, ma è anche un titolo che fa notare: profondo come una voragine, come quella che è precipitata il nostro Paese negli ultimi vent’anni.
L’incontro, coordinato da Giuseppina Del Signore, ha coinvolto, con l’autore Valerio De Nardo, il giornalista Daniele Camilli e Luciano Dottarelli, presidente del Club Unesco Tuscia Tra gli altri, sono intervenuti anche il sindaco Leonardo Michelini e l’assessore alla cultura Delli Iaconi.
Catanzaro, è la vera protagonista del libro “una terra da cui si è spinti ad andare via e tornare”. Tutti i personaggi sono presi da questo dilemma: di andar via, di tornare, di restare, in un ambiente che vede la politica come “l’unico terziario avanzato di quella città”. E questo è solo l’inizio.
Luciano Dottarelli. “E’ un libro complesso sia per la struttura narrativa ma anche per la molteplicità della dimensione e dei temi che affronta. C’è un Io narrante all’inizio del racconto che entra subito in scena e ogni tanto emerge sul pelo dell’acqua. Non è il protagonista ma una sorta di narratore onnisciente che in terza persona spizzica qua e là contesti di vita e situazioni tra loro molto diverse che lascia disorientati. Il personaggio è osservatore di casualità che s'intrecciano tra loro. Tra il ricordo e la vita presente. Il periodo è quello della fine degli anni ‘80 fino al 1994, la vigilia delle elezioni che vedono la vittoria di Berlusconi. Dalla lettura emerge anche il giornalismo, la competenza di costruire il lavoro di redazione, la sua curiosità per le tecnologie informatiche nel mondo della comunicazione. E rivela anche una passione personale, esistenziale tutta nella capacità di scavo, nella felicità delle descrizioni e dei ritratti”.
Daniele Camilli è un fiume di parole in piena che minaccia di tracimare, ma il pubblico attento, lo ascolta con molto interesse. “Nel libro ha trovato diversi livelli di lettura. Testo suddiviso a strati. Una stratigrafia che va letta penetrando, strato dopo strato, con rispetto per ognuna di essa. Uno strato è dato dal vissuto personale dell’autore, personaggi che si compongono con un tutto armonico: ognuno di loro è l’espressione di un tratto caratterizzante la trasformazione del nostro Paese, a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Pasolini, citato più volte all’interno del libro. I personaggi del libro rappresentano ognuno di essi, i tratti di questa trasformazione. La delicatezza, la capacità di indagare il reale, senza perdere la tenerezza. L’altro aspetto è l’indagine del nostro paese a cavallo degli anni ’80/'90 che muta: la caduta del muro di Berlino, i suoi riflessi, la sua storia, la fine del pentapartito, la perdita di senso della programmazione politica a fronte a una politica che diventa solo particolare, perdendo di vista il generale. Altro aspetto interessante è l’inchiesta. Il libro potrebbe essere un manuale di come si fa un’inchiesta giornalistica, contiene tutte le regole per un’inchiesta in paese, dove l’inchiesta non esiste più. L’inchiesta ha due filoni uno è quello americano dello scandalo Watergate che ha aperto la porta a una vera e propria scuola. L’altro filone è quello italiano interrotto alla fine degli anni ‘70 con la strage di Stato e che ha mostrato che cosa può fare un’inchiesta (Piazza Fontana nel ‘69). Quello americano è andato avanti, il filone italiano no. Valerio recupera quel filone all’interno di questo libro, insegna come si fa l’inchiesta che parte, qualche volta, da un semplice accadimento che ci spinge a indagare. L’autore ricostruisce cercando il filo logico che passa attraverso la fine del partito comunista, la caduta del muto di Berlino, il pentapartito, tangentopoli e si chiude con la morte di Ilaria Alpi, (20 marzo 1994). Questi accadimenti aprono le porte simbolicamente a un nuovo percorso di vent’anni del governo Berlusconi. Ancora un altro aspetto è la capacità di leggere la trasformazione antropologica che ha caratterizzato il nostro paese e aiuta a scoprire le cause. La politica ha perso la sua capacità di progettare, di programmare per lo sviluppo e di costruire, attraverso la partecipazione, il sogno di un nuovo mondo e di una realtà, ha perso la capacità di costruire un non luogo, un’utopia, La politica non è utopia, ma aiuta a costruire percorsi dove ciascuno possa ritrovare la sua dignità. Il paradigma della crisi che crea trasformazione. La chiave di lettura è uno strumento per capire anche la crisi della provincia di Viterbo. Crisi non significa solo "perdo", ma è trasformazione. E il compito che spetta agli intellettuali (colui che sa leggere tra le cose, ndr.) e quello che spetta alla politica è di andare a vedere quali sono le dinamiche che caratterizzano questa crisi, quali sono gli aspetti e le costanti e dunque qual è il futuro che la trasformazione disegna”.
Emozioni, ricordi, avventure hanno dato il via ieri sera 22 marzo al dibattito promosso e organizzato dall’associazione ProgettArt3D, presso ICult della Bic Lazio a Valle Faul, con lo scrittore Valerio De Nardo, autore del libro “Profondo Jonio” (Leonida Edizioni). Il titolo del libro non solo vuole indicare la longitudine e la latitudine del mare Jonio ma anticipa, con il racconto di una storia verosimile ambientata in Calabria, il paradigma della crisi politica e sociale del nostro Paese.
La chiave di lettura è valida non solo per la società calabrese ma anche per quella viterbese perché spiega ciò che caratterizza una crisi, che cosa avviene, su quali livelli si sviluppa e perché poi questa crisi produce delle trasformazioni non solo sul piano antropologico e politico, ma prettamente anche sul piano sociale. “Profondo Jonio” non è solo lo sprofondo dove avviene uno degli aspetti più importanti del libro, ma è anche un titolo che fa notare: profondo come una voragine, come quella che è precipitata il nostro Paese negli ultimi vent’anni.
L’incontro, coordinato da Giuseppina Del Signore, ha coinvolto, con l’autore Valerio De Nardo, il giornalista Daniele Camilli e Luciano Dottarelli, presidente del Club Unesco Tuscia Tra gli altri, sono intervenuti anche il sindaco Leonardo Michelini e l’assessore alla cultura Delli Iaconi.
Catanzaro, è la vera protagonista del libro “una terra da cui si è spinti ad andare via e tornare”. Tutti i personaggi sono presi da questo dilemma: di andar via, di tornare, di restare, in un ambiente che vede la politica come “l’unico terziario avanzato di quella città”. E questo è solo l’inizio.
Luciano Dottarelli. “E’ un libro complesso sia per la struttura narrativa ma anche per la molteplicità della dimensione e dei temi che affronta. C’è un Io narrante all’inizio del racconto che entra subito in scena e ogni tanto emerge sul pelo dell’acqua. Non è il protagonista ma una sorta di narratore onnisciente che in terza persona spizzica qua e là contesti di vita e situazioni tra loro molto diverse che lascia disorientati. Il personaggio è osservatore di casualità che s'intrecciano tra loro. Tra il ricordo e la vita presente. Il periodo è quello della fine degli anni ‘80 fino al 1994, la vigilia delle elezioni che vedono la vittoria di Berlusconi. Dalla lettura emerge anche il giornalismo, la competenza di costruire il lavoro di redazione, la sua curiosità per le tecnologie informatiche nel mondo della comunicazione. E rivela anche una passione personale, esistenziale tutta nella capacità di scavo, nella felicità delle descrizioni e dei ritratti”.
Daniele Camilli è un fiume di parole in piena che minaccia di tracimare, ma il pubblico attento, lo ascolta con molto interesse. “Nel libro ha trovato diversi livelli di lettura. Testo suddiviso a strati. Una stratigrafia che va letta penetrando, strato dopo strato, con rispetto per ognuna di essa. Uno strato è dato dal vissuto personale dell’autore, personaggi che si compongono con un tutto armonico: ognuno di loro è l’espressione di un tratto caratterizzante la trasformazione del nostro Paese, a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Pasolini, citato più volte all’interno del libro. I personaggi del libro rappresentano ognuno di essi, i tratti di questa trasformazione. La delicatezza, la capacità di indagare il reale, senza perdere la tenerezza. L’altro aspetto è l’indagine del nostro paese a cavallo degli anni ’80/'90 che muta: la caduta del muro di Berlino, i suoi riflessi, la sua storia, la fine del pentapartito, la perdita di senso della programmazione politica a fronte a una politica che diventa solo particolare, perdendo di vista il generale. Altro aspetto interessante è l’inchiesta. Il libro potrebbe essere un manuale di come si fa un’inchiesta giornalistica, contiene tutte le regole per un’inchiesta in paese, dove l’inchiesta non esiste più. L’inchiesta ha due filoni uno è quello americano dello scandalo Watergate che ha aperto la porta a una vera e propria scuola. L’altro filone è quello italiano interrotto alla fine degli anni ‘70 con la strage di Stato e che ha mostrato che cosa può fare un’inchiesta (Piazza Fontana nel ‘69). Quello americano è andato avanti, il filone italiano no. Valerio recupera quel filone all’interno di questo libro, insegna come si fa l’inchiesta che parte, qualche volta, da un semplice accadimento che ci spinge a indagare. L’autore ricostruisce cercando il filo logico che passa attraverso la fine del partito comunista, la caduta del muto di Berlino, il pentapartito, tangentopoli e si chiude con la morte di Ilaria Alpi, (20 marzo 1994). Questi accadimenti aprono le porte simbolicamente a un nuovo percorso di vent’anni del governo Berlusconi. Ancora un altro aspetto è la capacità di leggere la trasformazione antropologica che ha caratterizzato il nostro paese e aiuta a scoprire le cause. La politica ha perso la sua capacità di progettare, di programmare per lo sviluppo e di costruire, attraverso la partecipazione, il sogno di un nuovo mondo e di una realtà, ha perso la capacità di costruire un non luogo, un’utopia, La politica non è utopia, ma aiuta a costruire percorsi dove ciascuno possa ritrovare la sua dignità. Il paradigma della crisi che crea trasformazione. La chiave di lettura è uno strumento per capire anche la crisi della provincia di Viterbo. Crisi non significa solo "perdo", ma è trasformazione. E il compito che spetta agli intellettuali (colui che sa leggere tra le cose, ndr.) e quello che spetta alla politica è di andare a vedere quali sono le dinamiche che caratterizzano questa crisi, quali sono gli aspetti e le costanti e dunque qual è il futuro che la trasformazione disegna”.
Interviene il sindaco Leonardo Michelini. “Vedere una sala così piena è un segno di speranza. Ho fatto parte di un partito, dove mi sentivo parte attiva poi, per lavoro, mi sono disinteressato. Le cose si fanno per due motivi: per interesse e per passione, purtroppo manca l’azione. Credo che bisogna non dimenticare gli interessi, ma metterci sempre la passione. Se riusciamo a coinvolgere gli intellettuali di questa città, che ci sono, il futuro di questa comunità è reale. Parlo della Tuscia e di tutta la comunità italiana che è fatta di tante Viterbo, tante Catanzaro. L’Italia è questa non è un’altra cosa. Mettere insieme questi pezzi d’Italia, anche per gli intellettuali sarebbe una bella scommessa. Ci dobbiamo riuscire perché solo così possiamo uscire da una crisi che coincide con un passaggio temporaneo. I cambiamenti si devono fare sia come crisi politica, sia come cultura, e dobbiamo accettare di farli con tutti gli intellettuali, che sono una risorsa.”.
La serata termina con gli applausi finali per tutti e persone in fila per la consueta firma dell’autore su “Profondo Jonio”.
La serata termina con gli applausi finali per tutti e persone in fila per la consueta firma dell’autore su “Profondo Jonio”.
TusciaTimes: "Aspettando Frida", ProgettArte3D presenta la pittrice messicana regina del realismo moderno di Maria Antomietta Germano
Dettagli Creato Lunedì, 24 Febbraio 2014 13:15 Scritto Da Emanuele Faraglia
"Non una galleria d'arte, ma un'opportunità per artisti emergenti". E' questo lo spirito con il quale nel 2010 Rossella Muti, Maria Rita Antonini e Giuseppina Del Signore hanno dato vita all'associazione culturale "ProgettArte3D": "dove 3D sta per tre donne" chiarisce Giuseppina, responsabile delle attività di promozione e comunicazione di questa realtà che ha sede nella Città dei Papi.
"ProgettArte3D nasce per valorizzare l'arte contemporanea in una cornice di antichità - spiega la Del Signore, ricercatrice presso il centro Enea Casaccia, affiancata nell'occasione da Viviana Verlinghieri, ex presidente della locale sezione Fidapa - perché sappiamo che è molto difficile per gli artisti emergenti affermarsi. Così abbiamo deciso di dare loro l'opportunità di avere degli spazi espositivi dove poter far conoscere le proprie opere".
Una delle caratteristiche dell'associazione è la trasversalità: "Non ci interessa l'aspetto commerciale e possibilmente ci rivolgiamo a studenti della Tuscia, ma non solo. Organizziamo eventi per tutte le espressioni artistiche, dal teatro alla pittura, passando per la letteratura, la musica. La nostra prima mostra, realizzata in occasione di San Pellegrino in Fiore, si intitolava Contaminarsi e in quel caso Anna Lea Antonini ci aiutò nel tentativo di far convergere arte e design. Inoltre tra una piazza e l'altra gli spettatori erano accompagnati dalla musica di alcuni maestri del Conservatorio di Terni".
Giuseppina è un fiume in piena, tanti sono i progetti realizzati e quelli in cantiere: "Abbiamo uno zoccolo duro di amici che ci segue sempre, inoltre, tengo a precisarlo, tutte le amministrazioni comunali, sia la precedente che quella attuale, sono sempre stati disponibili. Noi d'altro canto, consapevoli del periodo che viviamo, non chiediamo mai fondi e le amministrazioni ci sono sempre venute incontro".
Tra le iniziative più interessanti va senz'altro ricordata quella allestita con Quartieri dell'Arte sulle Residenze d'artista: "Abbiamo ospitato presso nostre case scenografi, registi ed artisti. Tutti hanno così potuto esprimersi in modo libero, senza impedimenti di alcun genere. A questo proposito, visto che ci sono molti bed&breakfast, il Comune potrebbe incentivare simili iniziative visto che, ad esempio a differenza degli alberghi, in quel contesto l'artista si sente più a suo agio".
Altra mostra realizzata è stata quella sulle sculture di Andrea Cagnetti, "un orafo - spiega Del Signore - originario di Corchiano e conosciuto in tutto il mondo. Due o tre anni fa è stato a Londra a presentare i suoi lavori nella più grande gioielleria della City. Utilizza la stessa tecnica degli antichi Etruschi".
Curioso e, in qualche modo, benaugurante l'aneddoto raccontato da Giuseppeina su Diego Iaia, pittore che ha iniziato ad esporre i suoi quadri non proprio in giovanissima età: "Mio fratello, che ha una galleria a Roma, lo conobbe e riconoscendone il valore gli chiese 'possibile che questi quadri te li tieni in casa?'. Fortuna volle che un americano, passando, decise di acquistare ben tre quadri...".
Con quattro anni di lavoro alle spalle le donne di ProgettArte3D si sentono pronte per un nuovo ambizioso progetto: "Portare l'arte contemporanea alla gente. Non solo spazi espositivi, dunque, ma anche un'educazione a comprendere meglio le opere". "A Viterbo - ricorda ancora Del Signore - vive da qualche anno Antonio Arevalo, cileno classe '58, curatore tra l'altro della 49esima Biennale di Venezia con il quale stiamo collaborando per Esposizioni Fuori Luogo. Ci piacerebbe esporre in luoghi poco consueti, ma idonei, come le sedi delle Poste Italiane, della Asl, o di altre strutture pubbliche".
Se ne riparlerà ad aprile, in ogni caso, mentre il prossimo evento, "Aspettando Frida", è fissato per sabato primo marzo alle 17,30 presso l'incubatore iCult di Valle Faul. Sarà un omaggio all'immensa pittrice messicana in attesa della mostra curata da Helga Prignitz-Poda presso le Scuderie del Quirinale. Impossibile sintetizzare in poche parole il patrimonio lasciato ai posteri da Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón, la storica dell'arte Valeria Gemini introdurrà gli ospiti parlando delle sue creazioni, con le interpretazioni di Vera Anelli e Ylenia Di Luigi delle "Lettere appassionate" che Frida scrisse al suo fidanzato Diego Rivera mentre soffriva le pene per l'incidente che sconvolse la sua vita. L'evento sarà allietato dalle musiche originali di Lorenzo Corbucci.
E, parlando di Frida, della sua opera, del suo impegno, del suo lascito non solo "semplicemente artistico", Del Signore ha affermato: "L'impegno nell'arte? Nel momento in cui un'opera arriva tu ti sei già impegnata. Quando l'arte arriva ha già espletato il suo compito. Non c'è l'artista impegnato. Se una cosa è bella è bella. Punto"
Una mostra per celebrare il ventennale della scomparsa di Giuseppe Cesetti
In Arte&Spettacolo
martedì 07 dicembre 2010 - 17:22:54
VITERBO - A vent’anni dalla scomparsa del pittore tuscanese Giuseppe Cesetti, illustre figlio della terra di Tuscia noto in tutto il mondo, la Provincia di Viterbo intende ricordarne l’incredibile talento con una mostra di alcune sue opere, che si svolgerà ad ingresso libero da sabato 11 (inaugurazione alle ore 15,30, info: progettarte3d@progettarte3d.it) fino a domenica 19 dicembre alla galleria ProgettArte3D, in piazza San Pellegrino 1.
L’iniziativa, dal titolo “Quando il tempo è sospeso”, è stata presentata oggi pomeriggio nella sala conferenze di Palazzo Gentili dall’assessore alla Cultura, Giuseppe Fraticelli (nella foto), insieme all’ideatore della mostra, Renato Petroselli, e alla responsabile dell’associazione ProgettArte3D, Giuseppina Del Signore.
“L’amministrazione vuole fortemente ricordare la figura di Giuseppe Cesetti – spiega Fraticelli -, un artista nato nella nostra provincia, a Tuscania, che, attraverso il suo lavoro e il suo talento, ha fatto conoscere il Viterbese nel mondo. Tra i primi deputati della Tuscia, Cesetti si spese moltissimo per la tutela e lo sviluppo di Tuscania e dell’intera provincia di Viterbo, di cui ancora oggi è di certo tra i cittadini più illustri. Ecco perché l’ente provinciale ha da subito, cioè da quando Renato Petroselli ci ha proposto l’idea della mostra, guardato con favore all’organizzazione di un momento celebrativo delle opere di questo grande artista a vent’anni dalla sua scomparsa”.
Tra gli oli su tavola e le opere grafiche esposti alla galleria ProgettArte3D ci sarà anche un quadro raffigurante una natura morta che Cesetti donò anni fa alla Provincia di Viterbo, e che oggi ben figura nella stanza del presidente dell’amministrazione. “Il quadro dopo tanto tempo per la prima volta esce da Palazzo Gentili per venire ammirato dal vivo dai estimatori del pittore – afferma l’assessore Fraticelli -. In questo modo il dipinto sarà fruibile a tutti, e testimonierà il legame fortissimo tra la creatività di Cesetti, il territorio che lo aveva visto nascere e crescere, e le istituzioni viterbesi”.
“Piazza San Pellegrino – conclude –, splendida cornice per manifestazione artistiche, diventa in questi giorni un vivace melting pot, un crogiolo di culture e di diverse espressioni artistiche, dato che in contemporanea si svolgeranno la mostra di Andy Wharol a Palazzo degli Alessandri e, dall’altro lato della strada, l’esposizione delle opere del pittore viterbese alla galleria ProgettArte3D. Si tratta non di una provocazione, ma di un’occasione più unica che rara per trascorrere qualche ora tra opere di pregio concepite con differenti modalità d’espressione, passando dalla pop art americana di Wharol allo stile inconfondibile del tuscanese Cesetti”.
Giuseppe Cesetti nasce a Tuscania nel 1902. Figlio di agricoltori, egli vive a Tuscania la sua limpida adolescenza: questi anni di libera vita nella Maremma segreta e antica daranno alla sua arte un’impronta indelebile che egli saprà preservare attraverso le molteplici esperienze della sua vita feconda. A sedici anni lascia la famiglia ed incomincia il suo peregrinare per l’Italia. Attratto dai tesori e dalla profonda bellezza delle città del Belpaese, egli percorre tutta la penisola, osservando i maestri e trovando particolare affinità spirituale nelle opere in cui si manifesta il mistero della natura e l’indistruttibile poesia della vita.
Nel 1927 si trova a Como, dove espone per la prima volta. Si trasferisce poi a Firenze, dove collabora con la galleria “Solaria”, pubblicandovi alcuni disegni. Nel 1930 viene allestita alla Galleria Santa Trinità la sua prima mostra personale, che riscuote consensi generali. Importanti collezionisti e molti artisti, tra i quali Libero Andreotti, Romano Romanelli, Ottone Rosai, Ugo Ojetti, incoraggiano la manifestazione acquistando dipinti. Ottone Rosai si lega a Cesetti con fraterna amicizia. Nel 1931 Cesetti è nominato assistente alla cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Si riuniscono attorno a lui molti giovani e nasce il “movimento del Cavallino”. Sempre nel 1931 partecipa alla Quadriennale di Roma con tre opere, destando un vasto interesse della critica che ne parla come una “rivelazione”, dedicandogli ampio spazio.
Nel 1934 gli viene assegnata una parete alla Biennale di Venezia, in cui vengono esposte cinque opere (tra cui le notissime “Alla staccionata” e “Nudo di giovinetta”). Nel marzo del 1935 espone a Milano, alla Galleria del Milione, un gruppo di trenta opere impegnative, presentandosi con un “Autoritratto”. Alla Biennale del 1936 viene esposto il grande quadro “I vaccari”, una delle sue opere più significative.
Dal 1935 al 1937 soggiorna a Parigi, dove entra a far parte del mondo artistico particolarmente vivo e appassionante di quegli anni, stringendo rapporti di amicizia, fra gli altri, con Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e Antonio Aniante. Rientrato in Italia, si ferma a Milano, unendosi al gruppo del “Pesce d’Oro”, composto da Giovanni Scheiwiller, Francesco Messina, Salvatore Quasimodo, Raffaele Carrieri, Leonardo Sinisgalli, Arturo Tofanelli ed altri. E' questo per l’artista un periodo molto intenso. Incaricato da Giò Ponti, esegue un pavimento in ceramica di vaste dimensioni, esposto alla Mostra Universale di Parigi del 1937, in una sala del padiglione italiano dove sono presenti anche Gino Severini e Massimo Campigli. L’opera di Cesetti riscuote ampio successo e viene riprodotta anche dalla rivista francese “Le décor d’aujourd’hui”.
Nel 1939 assume la cattedra di Disegno al liceo artistico di Venezia, e nel 1941 viene nominato titolare della cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti della stessa città. Nel 1943 chiede di essere trasferito alla cattedra dell’Accademia di Belle Arti di Roma. In quel periodo fonda la Galleria del Secolo. Finita la guerra, viene nominato dai Comitati di liberazione deputato provinciale di Viterbo. Assieme a Bonaventura Tecchi, anch’egli deputato a Viterbo, si dedica particolarmente alla rinascita del patrimonio storico della Tuscia danneggiato dai bombardamenti.
Nel 1946, su richiesta del ministero interessato, riprende la cattedra di Venezia. Organizza nello stesso anno il premio “La Colomba” che viene ospitato presso due padiglioni della Biennale, quello francese e quello tedesco, restaurati per l’occasione. Nel 1949 organizza e presiede, in collaborazione con il Comune di Venezia, l’importante esposizione “50 anni di pittura in Italia”, allestita nell’Ala Napoleonica, creando in quell’occasione il “Premio Acquisto”, tuttora attuale. Dal 1955 al 1958 risiede a Parigi, dove dà inizio a un suo importante periodo francese. Al ritorno in Italia riprende per breve tempo la cattedra a Venezia.
Nel 1961 la città di Viterbo allestisce nel Palazzo dei Priori una grande mostra antologica di Cesetti, con oltre 100 dipinti che vanno dal 1928 al 1961. Nel 1962 viene trasferito all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ma, prima che abbia inizio l’anno scolastico, è nominato addetto culturale per le Arti Plastiche e Figurative presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi. Intraprende in tal veste un’energica azione per valorizzare maggiormente gli artisti italiani all’estero, mediante mostre e pubblicazioni, tra cui “Pittura italiana contemporanea” in occasione delle “Journées Italiennes” a Mulhouse (maggio 1964); “Scultura Italiana Contemporanea” nel Museo di Le Havre (novembre 1964); “De Pisis, Donghi, Morandi, Soffici” alla Galleria dei Servizi Culturali dell’Ambasciata, Parigi (maggio 1965); “Nove pittori italiani a Parigi” alla Galleria dei Servizi Culturali dell'Ambasciata, Parigi (maggio1966. La stessa mostra viene trasferita nel mese di luglio al Palais de la Méditerranée a Nizza); “Recherches de 18 artistes italiens en France” alla Galleria dei Servizi Culturali dell’Ambasciata, Parigi (dicembre 1967). Contemporaneamente Giuseppe Cesetti dipinge con intensità, ispirandosi particolarmente, oltre che a Parigi, alle rive della Loira, alla Camargue, alla Normandia e all’Ile de France. Alla fine del 1967 rientra in Italia e si stabilisce a Roma, facendo tuttavia frequenti soggiorni a Parigi nel suo atelier de la rue de Seine.
Dopo il terremoto che ha sconvolto nel 1972 la città di Tuscania, si adopera per la rinascita del centro storico e per ridare vita alle antiche tradizioni del luogo, promuovendo manifestazioni e movimenti tra cui l’Associazione dei Butteri dell’Etruria Meridionale. Queste iniziative incontrano un immediato successo e una vasta eco nel clima di difesa dei valori essenziali che si è destato nel mondo, e che Cesetti non ha cessato di esaltare attraverso la sua opera. Riprendendo la tradizione della famiglia, egli si dedica anche a un allevamento di cavalli, purosangue e maremmani, affidato alle cure della figlia Marta. Ma gran parte del lavoro lo svolge nello studio di Montebello, da dove può contemplare la striscia del Mediterraneo, la catena di Montalto, il monte Amiata, i monti Cimini, Allumiere e le due vaste vallate del Marta e del Fiora che lo videro adolescente e dove, d’estate, gli veniva affidata la mandria del nonno Agostino Meloni, allevatore attento ed affettuoso verso il bambino che portava spesso a cavallo, tenendolo tra le braccia sull’arcione della bardella maremmana.
Da allora sono passati per lui lunghi anni di esperienza, di vicissitudini, ora liete ora tristi, anni però che furono sempre di intenso lavoro, di assoluta onestà e di esemplare chiarezza sia nei confronti della sua coscienza che della sua arte. Opere di Cesetti sono state esposte in numerosissime mostre, in Italia e all’estero, con i maggiori artisti italiani e stranieri, e si trovano nei musei e nelle collezioni private più importanti. Ha partecipato più volte con sale personali alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. E’ stato critico dell’“Ambrosiano” e della “Gazzetta di Venezia”. Ha pubblicato libri di poesia, prosa e saggi critici. E’ morto a Tuscania il 19 dicembre 1990.
martedì 07 dicembre 2010 - 17:22:54
VITERBO - A vent’anni dalla scomparsa del pittore tuscanese Giuseppe Cesetti, illustre figlio della terra di Tuscia noto in tutto il mondo, la Provincia di Viterbo intende ricordarne l’incredibile talento con una mostra di alcune sue opere, che si svolgerà ad ingresso libero da sabato 11 (inaugurazione alle ore 15,30, info: progettarte3d@progettarte3d.it) fino a domenica 19 dicembre alla galleria ProgettArte3D, in piazza San Pellegrino 1.
L’iniziativa, dal titolo “Quando il tempo è sospeso”, è stata presentata oggi pomeriggio nella sala conferenze di Palazzo Gentili dall’assessore alla Cultura, Giuseppe Fraticelli (nella foto), insieme all’ideatore della mostra, Renato Petroselli, e alla responsabile dell’associazione ProgettArte3D, Giuseppina Del Signore.
“L’amministrazione vuole fortemente ricordare la figura di Giuseppe Cesetti – spiega Fraticelli -, un artista nato nella nostra provincia, a Tuscania, che, attraverso il suo lavoro e il suo talento, ha fatto conoscere il Viterbese nel mondo. Tra i primi deputati della Tuscia, Cesetti si spese moltissimo per la tutela e lo sviluppo di Tuscania e dell’intera provincia di Viterbo, di cui ancora oggi è di certo tra i cittadini più illustri. Ecco perché l’ente provinciale ha da subito, cioè da quando Renato Petroselli ci ha proposto l’idea della mostra, guardato con favore all’organizzazione di un momento celebrativo delle opere di questo grande artista a vent’anni dalla sua scomparsa”.
Tra gli oli su tavola e le opere grafiche esposti alla galleria ProgettArte3D ci sarà anche un quadro raffigurante una natura morta che Cesetti donò anni fa alla Provincia di Viterbo, e che oggi ben figura nella stanza del presidente dell’amministrazione. “Il quadro dopo tanto tempo per la prima volta esce da Palazzo Gentili per venire ammirato dal vivo dai estimatori del pittore – afferma l’assessore Fraticelli -. In questo modo il dipinto sarà fruibile a tutti, e testimonierà il legame fortissimo tra la creatività di Cesetti, il territorio che lo aveva visto nascere e crescere, e le istituzioni viterbesi”.
“Piazza San Pellegrino – conclude –, splendida cornice per manifestazione artistiche, diventa in questi giorni un vivace melting pot, un crogiolo di culture e di diverse espressioni artistiche, dato che in contemporanea si svolgeranno la mostra di Andy Wharol a Palazzo degli Alessandri e, dall’altro lato della strada, l’esposizione delle opere del pittore viterbese alla galleria ProgettArte3D. Si tratta non di una provocazione, ma di un’occasione più unica che rara per trascorrere qualche ora tra opere di pregio concepite con differenti modalità d’espressione, passando dalla pop art americana di Wharol allo stile inconfondibile del tuscanese Cesetti”.
Giuseppe Cesetti nasce a Tuscania nel 1902. Figlio di agricoltori, egli vive a Tuscania la sua limpida adolescenza: questi anni di libera vita nella Maremma segreta e antica daranno alla sua arte un’impronta indelebile che egli saprà preservare attraverso le molteplici esperienze della sua vita feconda. A sedici anni lascia la famiglia ed incomincia il suo peregrinare per l’Italia. Attratto dai tesori e dalla profonda bellezza delle città del Belpaese, egli percorre tutta la penisola, osservando i maestri e trovando particolare affinità spirituale nelle opere in cui si manifesta il mistero della natura e l’indistruttibile poesia della vita.
Nel 1927 si trova a Como, dove espone per la prima volta. Si trasferisce poi a Firenze, dove collabora con la galleria “Solaria”, pubblicandovi alcuni disegni. Nel 1930 viene allestita alla Galleria Santa Trinità la sua prima mostra personale, che riscuote consensi generali. Importanti collezionisti e molti artisti, tra i quali Libero Andreotti, Romano Romanelli, Ottone Rosai, Ugo Ojetti, incoraggiano la manifestazione acquistando dipinti. Ottone Rosai si lega a Cesetti con fraterna amicizia. Nel 1931 Cesetti è nominato assistente alla cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Si riuniscono attorno a lui molti giovani e nasce il “movimento del Cavallino”. Sempre nel 1931 partecipa alla Quadriennale di Roma con tre opere, destando un vasto interesse della critica che ne parla come una “rivelazione”, dedicandogli ampio spazio.
Nel 1934 gli viene assegnata una parete alla Biennale di Venezia, in cui vengono esposte cinque opere (tra cui le notissime “Alla staccionata” e “Nudo di giovinetta”). Nel marzo del 1935 espone a Milano, alla Galleria del Milione, un gruppo di trenta opere impegnative, presentandosi con un “Autoritratto”. Alla Biennale del 1936 viene esposto il grande quadro “I vaccari”, una delle sue opere più significative.
Dal 1935 al 1937 soggiorna a Parigi, dove entra a far parte del mondo artistico particolarmente vivo e appassionante di quegli anni, stringendo rapporti di amicizia, fra gli altri, con Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e Antonio Aniante. Rientrato in Italia, si ferma a Milano, unendosi al gruppo del “Pesce d’Oro”, composto da Giovanni Scheiwiller, Francesco Messina, Salvatore Quasimodo, Raffaele Carrieri, Leonardo Sinisgalli, Arturo Tofanelli ed altri. E' questo per l’artista un periodo molto intenso. Incaricato da Giò Ponti, esegue un pavimento in ceramica di vaste dimensioni, esposto alla Mostra Universale di Parigi del 1937, in una sala del padiglione italiano dove sono presenti anche Gino Severini e Massimo Campigli. L’opera di Cesetti riscuote ampio successo e viene riprodotta anche dalla rivista francese “Le décor d’aujourd’hui”.
Nel 1939 assume la cattedra di Disegno al liceo artistico di Venezia, e nel 1941 viene nominato titolare della cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti della stessa città. Nel 1943 chiede di essere trasferito alla cattedra dell’Accademia di Belle Arti di Roma. In quel periodo fonda la Galleria del Secolo. Finita la guerra, viene nominato dai Comitati di liberazione deputato provinciale di Viterbo. Assieme a Bonaventura Tecchi, anch’egli deputato a Viterbo, si dedica particolarmente alla rinascita del patrimonio storico della Tuscia danneggiato dai bombardamenti.
Nel 1946, su richiesta del ministero interessato, riprende la cattedra di Venezia. Organizza nello stesso anno il premio “La Colomba” che viene ospitato presso due padiglioni della Biennale, quello francese e quello tedesco, restaurati per l’occasione. Nel 1949 organizza e presiede, in collaborazione con il Comune di Venezia, l’importante esposizione “50 anni di pittura in Italia”, allestita nell’Ala Napoleonica, creando in quell’occasione il “Premio Acquisto”, tuttora attuale. Dal 1955 al 1958 risiede a Parigi, dove dà inizio a un suo importante periodo francese. Al ritorno in Italia riprende per breve tempo la cattedra a Venezia.
Nel 1961 la città di Viterbo allestisce nel Palazzo dei Priori una grande mostra antologica di Cesetti, con oltre 100 dipinti che vanno dal 1928 al 1961. Nel 1962 viene trasferito all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ma, prima che abbia inizio l’anno scolastico, è nominato addetto culturale per le Arti Plastiche e Figurative presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi. Intraprende in tal veste un’energica azione per valorizzare maggiormente gli artisti italiani all’estero, mediante mostre e pubblicazioni, tra cui “Pittura italiana contemporanea” in occasione delle “Journées Italiennes” a Mulhouse (maggio 1964); “Scultura Italiana Contemporanea” nel Museo di Le Havre (novembre 1964); “De Pisis, Donghi, Morandi, Soffici” alla Galleria dei Servizi Culturali dell’Ambasciata, Parigi (maggio 1965); “Nove pittori italiani a Parigi” alla Galleria dei Servizi Culturali dell'Ambasciata, Parigi (maggio1966. La stessa mostra viene trasferita nel mese di luglio al Palais de la Méditerranée a Nizza); “Recherches de 18 artistes italiens en France” alla Galleria dei Servizi Culturali dell’Ambasciata, Parigi (dicembre 1967). Contemporaneamente Giuseppe Cesetti dipinge con intensità, ispirandosi particolarmente, oltre che a Parigi, alle rive della Loira, alla Camargue, alla Normandia e all’Ile de France. Alla fine del 1967 rientra in Italia e si stabilisce a Roma, facendo tuttavia frequenti soggiorni a Parigi nel suo atelier de la rue de Seine.
Dopo il terremoto che ha sconvolto nel 1972 la città di Tuscania, si adopera per la rinascita del centro storico e per ridare vita alle antiche tradizioni del luogo, promuovendo manifestazioni e movimenti tra cui l’Associazione dei Butteri dell’Etruria Meridionale. Queste iniziative incontrano un immediato successo e una vasta eco nel clima di difesa dei valori essenziali che si è destato nel mondo, e che Cesetti non ha cessato di esaltare attraverso la sua opera. Riprendendo la tradizione della famiglia, egli si dedica anche a un allevamento di cavalli, purosangue e maremmani, affidato alle cure della figlia Marta. Ma gran parte del lavoro lo svolge nello studio di Montebello, da dove può contemplare la striscia del Mediterraneo, la catena di Montalto, il monte Amiata, i monti Cimini, Allumiere e le due vaste vallate del Marta e del Fiora che lo videro adolescente e dove, d’estate, gli veniva affidata la mandria del nonno Agostino Meloni, allevatore attento ed affettuoso verso il bambino che portava spesso a cavallo, tenendolo tra le braccia sull’arcione della bardella maremmana.
Da allora sono passati per lui lunghi anni di esperienza, di vicissitudini, ora liete ora tristi, anni però che furono sempre di intenso lavoro, di assoluta onestà e di esemplare chiarezza sia nei confronti della sua coscienza che della sua arte. Opere di Cesetti sono state esposte in numerosissime mostre, in Italia e all’estero, con i maggiori artisti italiani e stranieri, e si trovano nei musei e nelle collezioni private più importanti. Ha partecipato più volte con sale personali alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. E’ stato critico dell’“Ambrosiano” e della “Gazzetta di Venezia”. Ha pubblicato libri di poesia, prosa e saggi critici. E’ morto a Tuscania il 19 dicembre 1990.
Le residenze d'artista
Contaminarsi ProgettArte3D Viterbo
Pressrelease ITALIA EVENTI DEL 1/5/2010
Contaminarsi
Fotografia, design, moda, danza
Nasce a Viterbo l'associazione culturale ProgettArte3D per creare opportunità per giovani artisti di esprimere la loro arte in uno spazio espositivo e d'incontro nel cuore medievale della città. Contaminarsi e' il titolo della mostra che inaugura il percorso culturale della nuova associazione. Si terrà dal 1° al 3 maggio 2010, in occasione del tradizionale appuntamento con la manifestazione -San Pellegrino in fiore-.
La mostra, curata insieme all'Accademia di Costume e di Moda di Roma e allo studio di architettura D'Arc Studio e prodotta da ProgettArte3D, si snoda su due spazi espositivi: in piazza S. Pellegrino 1, dove si espone il design di Chiara Quatrale mescolato ad oggetti di design del D'Arc Studio di Roma mentre, nella vicina piazza Scacciaricci, l'artista Luigi Mulas Debois presenta il video delle sue creazioni, i costumi dell'Accademia ed una sua installazione che coniuga la creatività dell'artista con la città di Viterbo lasciandosi contaminare dalle foto della città e della macchina di Santa Rosa. Le due esposizioni saranno collegate tra loro dalla performance di danza contemporanea della coreografa Anna Lea Antolini.
Lo scopo della mostra Contaminarsi, vuole proprio essere quello di sottolineare la capacità dell'arte contemporanea di sovrapporsi ed esaltarsi attraverso le sue differenti forme. L'associazione ProgettArte3D inizia cosi' un percorso culturale pensato ideato e sviluppato da tre donne che, per interesse verso l'arte visuale, la fotografia, la danza, il teatro e il design e per l'amore verso la città di Viterbo, vogliono promuovere nel territorio l'arte contemporanea in tutte le sue forme attraverso incontri, mostre, installazioni e spettacoli, momenti creativi di alto livello artistico e culturale trasversali a tutte le arti.
Inaugurazione 1° Maggio 2010, 17h piazza S. Pellegrino 1 e piazza Scacciaricci
ProgettArte3D piazza S.Pellegrino, 1, Viterbo Orari: 10-20 ingresso libero
SCHEDA
TITOLO Contaminarsi PERIODO dal 1/5/10 al 3/5/10 CITTÀ Viterbo NAZIONE Italia SEDE ProgettArte3D INDIRIZZO piazza S. Pellegrino, 1 ORARIO 10-20 TELEFONO 335 8379357 Email
SEGNALATO DAGiuseppina Del Signore
APPROFONDIMENTI
Chiara Quatrale
Luigi Mulas Debois
Anna Lea Antolini
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Contaminarsi
Fotografia, design, moda, danza
Nasce a Viterbo l'associazione culturale ProgettArte3D per creare opportunità per giovani artisti di esprimere la loro arte in uno spazio espositivo e d'incontro nel cuore medievale della città. Contaminarsi e' il titolo della mostra che inaugura il percorso culturale della nuova associazione. Si terrà dal 1° al 3 maggio 2010, in occasione del tradizionale appuntamento con la manifestazione -San Pellegrino in fiore-.
La mostra, curata insieme all'Accademia di Costume e di Moda di Roma e allo studio di architettura D'Arc Studio e prodotta da ProgettArte3D, si snoda su due spazi espositivi: in piazza S. Pellegrino 1, dove si espone il design di Chiara Quatrale mescolato ad oggetti di design del D'Arc Studio di Roma mentre, nella vicina piazza Scacciaricci, l'artista Luigi Mulas Debois presenta il video delle sue creazioni, i costumi dell'Accademia ed una sua installazione che coniuga la creatività dell'artista con la città di Viterbo lasciandosi contaminare dalle foto della città e della macchina di Santa Rosa. Le due esposizioni saranno collegate tra loro dalla performance di danza contemporanea della coreografa Anna Lea Antolini.
Lo scopo della mostra Contaminarsi, vuole proprio essere quello di sottolineare la capacità dell'arte contemporanea di sovrapporsi ed esaltarsi attraverso le sue differenti forme. L'associazione ProgettArte3D inizia cosi' un percorso culturale pensato ideato e sviluppato da tre donne che, per interesse verso l'arte visuale, la fotografia, la danza, il teatro e il design e per l'amore verso la città di Viterbo, vogliono promuovere nel territorio l'arte contemporanea in tutte le sue forme attraverso incontri, mostre, installazioni e spettacoli, momenti creativi di alto livello artistico e culturale trasversali a tutte le arti.
Inaugurazione 1° Maggio 2010, 17h piazza S. Pellegrino 1 e piazza Scacciaricci
ProgettArte3D piazza S.Pellegrino, 1, Viterbo Orari: 10-20 ingresso libero
SCHEDA
TITOLO Contaminarsi PERIODO dal 1/5/10 al 3/5/10 CITTÀ Viterbo NAZIONE Italia SEDE ProgettArte3D INDIRIZZO piazza S. Pellegrino, 1 ORARIO 10-20 TELEFONO 335 8379357 Email
SEGNALATO DAGiuseppina Del Signore
APPROFONDIMENTI
Chiara Quatrale
Luigi Mulas Debois
Anna Lea Antolini
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